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La scoliosi: oggi quali trattamenti sono possibili?

Il nome scoliosi deriva dal termine greco skolíosis ‘incurvamento’, che a sua volta deriva da skolíos ‘curvo’. Da un punto di vista anatomico, il rachide (termine tecnico per la colonna vertebrale) di una persona si presenta perfettamente allineato sul piano frontale. Quando soffri di scoliosi, invece, la tua colonna vertebrale, sempre visualizzata  di fronte, presenta delle curvature laterali.

La scoliosi interessa soprattutto i soggetti giovani e tende poi a stabilizzarsi nell’età adulta. Per riconoscerla da altre patologie della colonna vertebrale (polimorfismi, chiamati anche atteggiamenti scoliotici) occorre individuare il “gibbo”, tratta di un’asimmetria toracica che si nota quando il bambino, visto di spalle, si piega in avanti a mani giunte.  E devono essere presenti le rotazioni dei corpi vertebrali. In assenza di questi elementi potremmo trovarci di fronte a polimorfismi, atteggiamenti posturali scorretti che tendono a sparire spontaneamente durante la crescita.

Alcune indicazioni di scoliosi nei bambini possono essere una spalla più alta dell’altra, una spalla sembra sporgente, un fianco più alto dell’altro, la testa del bambino non è centrata

Esistono diversi tipi di scoliosi.

  • Scoliosi idiopatica. Interessa l’80% delle persone con scoliosi e si manifesta tra i 10 e i 18 anni. È più comune nelle femmine. Questo tipo di scoliosi tende a stabilizzarsi con il raggiungimento dell’età matura, ma in casi di curvature del rachide che superano i 50 gradi, la scoliosi potrebbe progredire anche in età adulta. Le cause di questo tipo di scoliosi sono sconosciute.
  • Scoliosi congenita. Si verifica solo in un neonato su diecimila e può associarsi ad altre patologie, come insufficienza renale e problemi alla vescica.
  • Scoliosi neuromuscolare. Causata da disturbi del cervello, del midollo spinale e del sistema muscolare, si manifesta soprattutto nei soggetti affetti da spina bifida, paralisi cerebrale, sindrome di Marfan o paralisi. Questo tipo di scoliosi impedisce a nervi e muscoli di mantenere un corretto equilibrio
  • Scoliosi degenerativa o scoliosi ad insorgenza adulta. Questo tipo di scoliosi si verifica soprattutto dopo i 65 anni, ed è provocata dalla degenerazione delle faccette articolari, che spostano la colonna vertebrale lateralmente. Il rachide in questo caso può essere interessato anche da osteoporosi, fratture da compressione e degenerazione del disco.

I trattamenti 

I trattamenti della scoliosi hanno come  obbiettivo quello di arrestare l’evoluzione della patologia. Si possono adottare approcci ortopedici (il cosiddetto metodo “incruento”) o chirurgici (metodo “cruento”). In generale, per verificare se persiste o evolve la deviazione della colonna vertebrale sono necessari esami e visite mediche.

Il corsetto ortopedico o l’apparecchio gessato

L’utilizzo di questi sistemi di correzione è indicato quando la curva della colonna vertebrale è compresa tra i  20-25° e 30-35°. L’azione fondamentale del corsetto è quella di correggere la deviazione della colonna, consentendo l’accrescimento corretto della stessa. Il tipo di corsetto e il tempo della sua utilizzazione dipenderanno dall’accrescimento vertebrale residuo e dalle condizioni generali del paziente. Per quanto concerne il corsetto ortopedico amovibile, ce ne sono diversi modelli. Alcuni, ultimamente, sono stati sviluppati senza comprendere il rachide cervicale (i cosiddetti corsetti corti) e risultano un po’ più belli da indossare. I corsetti gessati, invece, da un punto di vista correttivo sono sicuramente più efficaci. Pur considerando che, negli ultimi anni, il loro utilizzo è stato in parte ridimensionato, rappresentano ancora un valido strumento di correzione nelle scoliosi gravi e nei periodi più delicati dell’accrescimento.

L’intervento chirurgico

La chirurgia diventa necessaria quando la curva arriva a 40-50° o più e  quando il corsetto (quello ortopedico o quello gessato) non riesce più a impedire la progressione della scoliosi. Nel 1962 Paul R. Harrington eseguì il primo trattamento chirurgico con impiego di una barra di acciaio che permetteva la correzione della scoliosi, in seguito al quale però occorreva comunque indossare il bustino gessato per 10-12 mesi. Nel 1983, i due ortopedici transalpini Yves Cotrel e Jean Dubousset proposero un nuovo sistema  che consentiva di evitare di indossare tutele esterne come i bustini, dopo l’intervento. Il paziente, in tal modo, poteva essere dimesso pochissimi giorni dopo l’operazione. Questo è il tipo di intervento che si esegue ancora oggi.

Altri trattamenti

Al momento, non esistono altri trattamenti efficaci per la scoliosi. Gli esercizi correttivi (cinesiterapia), danno buoni risultati nel trattamento della scoliosi idiopatica dell’adolescente, soprattutto in associazione con il corsetto. Si tratta di esercizi di educazione psicomotoria che migliorano la postura del soggetto. Ovviamente, sarebbe assurdo pretendere di correggere in questo modo una deformità vertebrale come la scoliosi; ma si può ridurre o perlomeno cercare di frenarne l’evoluzione.

Si può fare sport con la scoliosi? Sì, ma è meglio praticarlo indossando il corsetto ed evitare di farlo a livello agonistico. In questo articolo spiego quali sono le attività sportive più indicate per chi soffre di scoliosi.

Foto Credits | Sven Lachmann | Giulia Marotta

Articolo realizzato con il contributo del dottorRodolfo Lisi, docente di Scienze Motorie, Specializzato in Posturologia e in Cultura Sportiva

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Il nuoto NON fa bene…per chi soffre di scoliosi

Il nuoto non fa bene. O meglio, non fa bene a chi soffre di scoliosi. Lo sport più completo del mondo, suggerito per qualsiasi obbiettivo di benessere, da mantenersi in forma a perdere peso, fino alla riabilitazione, non è sempre un toccasana. In alcuni casi, anzi, può peggiorare la salute dell’individuo.
Parliamo dei soggetti che soffrono di scoliosi, una curvatura anormale (laterale) della colonna vertebrale, che nei casi più lievi non inficia le normali attività quotidiane, ma in quelli più gravi può essere particolarmente limitante. Interessa il 3% della popolazione e colpisce soprattutto i soggetti giovani, in particolare le donne.

Non è facile affrontare un argomento simile. Sfatare il mito del nuoto, lo sport che tutto può, tutto concede ed è concesso a tutti, è impresa ardua. A farlo ci hanno pensato Rodolfo Lisi, docente di Scienze Motorie, Specializzato in Posturologia e in Cultura Sportiva, che su questo ci ha scritto un libro: “Il nuoto non fa bene – l’attività natatoria nella scoliosi: miti e tabù da sfatare” (Ed. Il Trifoglio Bianco) insieme a Carmelo Giuffrida, Dottore in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate.

Rodolfo Lisi

Nome omen, gli autori non ci hanno girato intorno fin dal titolo. Armati di conoscenze di medicina, biomeccanica, fluidodinamica, scienze motorie (soprattutto la connessione tra attività sportiva e deformità vertebrale) gli autori hanno provato a suggerire alla comunità medica di andare oltre il mero beneficio dell’attività natatoria dovuto “all’assenza di gravità” per il soggetto scoliotico, ma invitando i medici ad approfondire meglio che cosa succede in acqua, quali meccanismi, pesi e pressioni lavorano sul soggetto mentre nuota. Solo così si può capire perché per i soggetti scoliotici questa attività sportiva sia assolutamente sconsigliata.
Per capire meglio questo concetto messaggio, abbiamo intervistato uno degli autori, Rodolfo Lisi.

Dottor Lisi, non è azzardato affermare che il nuoto addirittura faccia male?

Voglio essere chiaro: il nuoto fa bene, è uno sport assolutamente completo ed è vero che in alcuni casi può essere indicato anche come terapia: per recuperare lesioni muscolari, fare determinati esercizi di fisioterapia, per soggetti che hanno disturbi cardiovascolari o ancora per partorire. L’attività in acqua è preziosa per l’uomo. Ma in alcuni casi, come per chi soffre di scoliosi, il nuoto non dovrebbe essere praticato, se non in via del tutto amatoriale e massimo, massimo, una volta alla settimana.

È piuttosto tranchant su questo aspetto. Ci può spiegare perché a un soggetto scoliotico non si può prescrivere il nuoto come terapia?

Già gli studi dei ricercatori Geyer e Vercauteren negli anni 80’ sono stati illuminanti in questo senso, ma la comunità medica ha continuato ad ignorarli. Geyer realizzò uno studio sulle forze autodeformanti che agiscono sul torace scoliotico. La scoliosi trasforma il torace in un cilindro deformato che tende ad aumentare spontaneamente la sua deformazione ogni volta che vengono esercitate delle forze sulla sua superficie esterna o interna. Le indagini di Vercauteren hanno dimostrato che oltre i 10 millimetri di gibbo dorsale, le forze applicate al torace agiscono in senso autodeformante, come avviene ad esempio nel nuoto.

Spiegato in parole più semplici, cosa significa?

I medici che suggeriscono questo sport a chi soffre di scoliosi fanno leva sul fatto che in acqua non ci sia gravità e che per questo motivo chi soffre di scoliosi può fare sport senza affaticare la colonna vertebrale. Ma non è così. In acqua c’è la forza di gravità, mica si annulla. Noi galleggiamo nell’acqua per il principio di Archimede (ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del fluido spostato, ndr). Ma in acqua, a differenza della terraferma, non esistono punti fissi su cui appoggiarsi o fare leva: il soggetto scoliotico è in balia dei flutti, non può aggrapparsi a nulla per fare quegli esercizi così fondamentali che si fanno a secco. E la pressione esercitata dall’acqua sulla zona lombare e toracica può peggiorare la patologia.

Quindi il fatto di fluttuare e non avere punti di sostegno può aggravare la scoliosi?

Esatto. Questo sport non consente di controllare le torsioni del rachide. Nell’acqua le gambe tendono ad affondare e per riportarle vicino alla superficie si tende ad accentuare la curva lombare, che in un soggetto scoliotico è già compromessa. In questo modo si peggiora la rotazione delle vertebre. Ma non è solo questo. Il gibbo, la preminenza a destra o sinistra della colonna vertebrale, che indica la presenza di scoliosi, può peggiorare sotto la pressione esercitata dall’acqua. E infine, la respirazione. In acqua la nostra respirazione è forzata, entriamo e usciamo dall’acqua con la testa per poter prendere aria e in questo modo forziamo la normale respirazione, aprendo ancora di più le costole (le ossa della gabbia toracica). Questa accentuazione della respirazione e dell’apertura delle coste può peggiorare ulteriormente il gibbo ed aggravare la scoliosi.

In genere ai soggetti scoliotici si consiglia lo stile dorso. Cosa ne pensa?

No, non va bene nemmeno il dorso. Tutti gli stili sono da evitare a livello agonistico. Come ho detto, va bene praticare nuoto una volta alla settimana per chi soffre di scoliosi, ma non di più. Il nuoto, per chi soffre di scoliosi, può andar bene come sport amatoriale, è un momento di svago e di attività fisica importante per qualsiasi individuo, ma per il soggetto scoliotico non deve essere consigliato come attività riabilitativa e non deve essere praticato a livello agonistico.

Nel libro lei suggerisce che l’esposizione al cloro possa in qualche modo aumentare il rischio di sviluppare la scoliosi. Davvero il cloro può essere così nocivo?

Gli studi epidemiologici mostrano un’associazione statisticamente significativa di scoliosi idiopatica adolescenziale e asimmetria verticale dei processi spinosi in soggetti che hanno utilizzato piscine riscaldate al coperto nei primi dodici mesi di vita. I batteri presenti nell’acqua di una piscina variano la loro presenza in rapporto all’utenza immersa in vasca: la clorazione diventa fondamentale per la prevenzione di gravi problemi di salute causati da virus, batteri, funghi e protozoi. Ma questo indispensabile e difficile equilibrio igienico dell’ambiente natatorio, connesso alla clorazione delle piscine coperte, e riscaldate, produce anche Trialometani neurotossici ( cloroformio, bromodiclorometano, dibromoclorometano, bromoformio, cianogeno cloruro). Inoltre, l’acqua riscaldata della piscina clorurata genera gas neurotossici liposolubili, volatili e clorurati.
Allo stato attuale si può solo ipotizzare quali parti del sistema nervoso centrale del neonato potrebbero essere influenzate da sostanze neurotossiche. Anche se i processi biologici alla base dello sviluppo della scoliosi idiopatica negli adolescenti, in particolare il sesso femminile, sono scarsamente comprensibili, esistono prove e supporti crescenti della possibilità di una influenza derivante da disturbo neurologico. L’ipotesi neurogenica, per la scoliosi idiopatica negli adolescenti sopra esposta, potrebbe dipendere da una disfunzione del cervello e/o del midollo spinale imputabile alle neurotossine provenienti da piscine coperte riscaldate. La conferma dei risultati epidemiologici deve essere comunque approfondita con ricerche interdisciplinari. Sappiamo che il grado di esposizione a sostanze neurotossiche, necessario per causare danni al tessuto neurale sub-letale, è sconosciuto e molto difficile da quantificare.

Come ci si accorge di essere affetti da scoliosi?

Diciamo subito che le cause dell’80% dei casi di scoliosi sono sconosciute. Quando parliamo di scoliosi idiopatica parliamo di una deformazione della colonna vertebrale evolutiva, che inizia durante l’adolescenza e termina nell’età adulta. Potrebbe essere di origine genetica, ma ancora non si è accertato scientificamente. Per capire se siamo di fronte a un soggetto scoliotico dobbiamo prestare attenzione ad alcuni particolari: spalle ad altezza differente, la presenza di una piccola gobba nella zona lombare, fianchi irregolari, inclinazioni del corpo verso un lato. Sono tutti segnali che possono indicare la presenza di scoliosi.

Nel dubbio, un genitore cosa deve fare?

In questi casi è bene far fare una visita al giovane dal medico pediatra (se minorenne) o di medicina generale, il quale farà le opportune verifiche con esami specifici. In caso di diagnosi positiva, si procederà con visite presso ortopedici e fisiatri.

Si può guarire dalla scoliosi?

Non si guarisce dalla scoliosi, ma si può evitare che peggiori. Nei casi più lievi si possono indossare bustini e corsetti per contenere l’evoluzione della patologia. Nei casi più gravi si procede con l’intervento chirurgico dove si inseriscono delle barre metalliche nella colonna vertebrale per tentare di raddrizzarla ed evitare un peggioramento, anche se non si potrà mai arrivare a un raddrizzamento completo.

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Fonti:
• Scoliosis in swimmers. Becker TJ. Clin Sports Med. 1986 Jan;5(1):149-58.
• “Swimming is not a scoliosis treatment: a controlled cross-sectional survey”, studio realizzato da ISICO (Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale) presentata in occasione del 40° Congresso annuale dell’International Society for the Study of the Lumbar Spine (Issls) nel 2013
• Geyer B. Scoliose thoracique et sport. Presented at XV Journees du Groupe Kinesitherapique de Travail sur la Scolios. Palavas Les Flots, 1986.
• Ikai M, Ishii K, Miyashita M. An electromyographic study of swimming. Research Journal of Physical Education, vol. 7, n. 4, pp. 47-54, 1964.
• Negrini A, Negrini S: Scoliosi, chinesiterapia e sport. In: Cimino F (ed), La Scoliosi in Età Evolutiva: Attualità e Tecniche di Trattamento a Confronto, pp 21/1-21/4. Modena (Italy): Groupe Kinésithérapique Européen de Travail sur la Scoliose, 1991
• Negrini S, Corigliano A, Panella L. Sport e scoliosi: indicazioni e limiti. La ginnastica medica, Vol. XXXVIII, fasc. 3/4/5/6, pp. 43-45, 1990
• Villani G, Falco A. Il nuoto nel trattamento della scoliosi. La Ginnastica Medica, vol. XXIII, fasc. 3-4-5-6-, 1975

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