Una delle cose che abbiamo notato tutti durante questa pandemia è stata l’importanza di comunicare bene. Quando parlo di comunicare bene mi riferisco soprattutto alla comunicazione del rischio: dalla prima comparsa del virus ai vaccini, come è stata comunicata questa pandemia?
Comunicare non significa infatti semplicemente dire qualcosa a qualcuno, in qualche modo. Ma assicurarsi che il destinatario del messaggio abbia compreso nel modo giusto.
E quando l’oggetto da comunicare è il rischi (clinico, sanitario) quanto ho appena affermato è ancora più importante.
Ma procediamo per ordine e diamo un nome alle cose.
Cosa si intende per comunicazione del rischio, soprattutto in ambito sanitario?
Intanto definiamo il concetto di rischio: secondo il dizionario Treccani, si tratta dell’eventualità di subire un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili. In parole semplici, è una stima del pericolo che si può correre e dell’oltraggio (danno) che ne può derivare.
Pertanto, non è un concetto semplice da comunicare.
In questa pandemia abbiamo assistito a istituzioni spesso confuse su cosa, come e quando comunicare le informazioni. Anziché basare la comunicazione su fatti oggettivi, spesso si è assistito a toni paternalistici che ora rassicuravano con virtuali pacche sulle spalle, ora ammonivano, ora terrorizzavano. E chi sono i destinatari di questa comunicazione?
I cittadini. Che in questa comunicazione un po’ raffazzonata (per usare toni eufemistici) sono stati considerati come persone da informare un po’ come viene, con le informazioni che si hanno, senza soffermarsi troppo su toni e modalità. Senza spiegare perché le cose avvengono in un certo modo. Lasciando un vuoto.
E quando c’è un vuoto comunicativo, questo viene riempito da altri soggetti, media, divulgatori scientifici improvvisati, medici che cercano microfoni e giornalisti impreparati sui temi sanitari che glieli sventolano volentieri sotto il mento per cogliere qualsiasi afflato, frase, parola o rigurgito, su qualsiasi cosa riguardi la pandemia. Abbiamo visto immunologi e virologi affermare tutto e il contrario di tutto, in tv, ogni giorno. Alimentando così una confusione tra il pubblico che non è stata in nessun modo smorzata dalle istituzioni il cui intervento, a mio avviso, nel campo della comunicazione è stato minimo. Invisibile.
Non è facile comunicare qualcosa che non si conosce
Questa affermazione è. vera fino a un certo punto. le istituzioni potevano essere impreparate sul virus, certamente. Ma non potevano essere impreparate sulla comunicazione del rischio, ch e prevede una competenza anche nel comunicare l’incertezza. Anche nel comunicare quando non si hanno informazioni, ma i cittadini le pretendono (giustamente).
La comunicazione del rischio non è qualcosa che si improvvisa, che può fare chiunque, che si esercita nel momento dell’emergenza e si smette quando l’emergenza finisce.
E’ un flusso continuo, che non smette mai, che prepara il terreno nei tempi ordinari, per essere pronti in straordinari.
Pianificazione e comunicazione rappresentano le scelte strategiche essenziali per sviluppare interventi in grado di fronteggiare una situazione di emergenza.
E noi italiani, lo sappiamo, nella pianificazione siamo un disastro. Genio, improvvisazione e creatività, caratteristiche tipicamente nostrane, aiutano, ma se si tratta di gestire una pandemia, da sole servono a poco.
Come si fa a fare una buona comunicazione del rischio durante una pandemia?
Innanzitutto vanno predisposte le strutture, i servizi, definiti i ruoli, va identificato un organo nazionale con funzioni di coordinamento delle attività e un nucleo di comunicazione a livello regionale e locale. E va nominato un portavoce. Ma non un portavoce del presidente del Consiglio, ma di tutto il Governo e che si occupi solo di comunicazione dell’emergenza.
In questa crisi le notizie principali le ho apprese dai media o andandomi a leggere testualmente i vari DPCM o decreti. Non ho visto una figura intermediaria, governativa, che si prendesse la briga di comunicare quanto deciso dal Governo. Tutto in pasto ai giornalisti, dall’aula alla sala stampa, e che se la vedessero loro. Non funziona così, per me.
La comunicazione è una competenza che si acquisisce con lavoro e professionalità. E non si esaurisce nel passaggio di informazioni, ma è la risorsa che permette di creare rapporti e collaborazioni, di affrontare momenti di difficoltà e di conflitto, sempre presenti in ogni piano d’intervento, in modo particolare nell’emergenza. Ecco perché la competenza comunicativa va gestita con cura e mantenuta nel tempo, per evitare che diventi essa stessa un rischio. E va attuata sempre, a prescindere dall’emergenza, per preparare i cittadini e costruire un rapporto di fiducia che vedrà i suoi frutti proprio nel momento in cui i cittadini devono fidarsi ancora di più delle istituzioni, come in un’emergenza sanitaria.
Una comunicazione del rischio del rischio seria ti racconta l’importanza dei vaccini, come funziona un’infezione, che cosa sono i virus, etc….anche nei momenti in cui non ci sono emergenze. E’ questo il momento in cui occorre preparare le persone a prendersi cura di sè. Così, nel momento dell’emergenza, non solo i cittadini saranno preparati ma si fideranno anche di più delle istituzioni, perché abituati a ricevere informazioni puntuali e competenti.
Bisogna saper comunicare i fatti e i numeri in modo giusto e coerente. Le persone vogliono capire, e avere tutti gli elementi per valutare in autonomia la situazione. Non serve raccontare loro storielle annacquate per farle stare buone: la “massa” non è composta da individui tutti uguali, ma da soggetti che posso pretendere, riconoscere e interpretare diversi livelli di informazione e complessità. La “massa” va presa seriamente, non trattata come un insieme di individui da informare il meno possibile, aggiungendo pacche sulle spalle (tranquillizzare) o sberle (allarmare), a seconda della situazione.
E qui entra in gioco la percezione del rischio
La percezione del rischio è direttamente influenzata da come il rischio è stato comunicato nel tempo. Spesso il giudizio dei cittadini non coincide con la valutazione scientifica, perché la percezione soggettiva è influenzata così tanto dalla componente emotiva che i fatti possono diventare meno importanti delle sensazioni.
Prendiamo i vaccini anti-COVID, per i quali la comunicazione del rischio si è proprio persa e a farne le spese sono stati soprattutto i cittadini che hanno rinunciato a certi vaccini per paure del tutto ingiustificate. I casi di trombosi per Astrazeneca che hanno gettato l’Europa nel panico sappiamo bene come sono stati comunicati dai vari giornali, con titoloni a nove colonne che parlavano del terrore in Europa per pochissimi casi di trombosi. Chi prende l’aereo rischia 100 volte in più di sviluppare una trombosi rispetto a chi assume il vaccino Astrazeneneca. Eppure, ancora oggi, si teme di più il farmaco, che può salvarci la vita, dell’aereo, che è molto più rischioso sotto il profilo del rischio trombotico.
Perché volare ci fa meno paura di vaccinarci? Le campagne contro le vaccinazioni non sono iniziate con la pandemia da SARS-Cov-2, ci sono da sempre e negli ultimi anni, complici alcuni gruppi no vax che si sono fatti sentire coinvolgendo anche medici da ogni parte del globo, il dubbio sulle vaccinazioni è penetrato in modo significativo, tanto che nel nostro paese abbiamo dovuto introdurre diverse vaccinazioni obbligatorie per accedere all’istruzione scolastica.
Quando a fine 2020 è partita la campagna vaccinale per la COVID, a parte i padiglioni con le primule rosa, da parte del Governo che comunicazioni ci sono state? Qualche istituzione governativa ha spiegato come funzionano le vaccinazioni, che cosa sono, cosa occorre aspettarsi, quali sono i rischi apportati ai benefici, etc..?
No. E allora sono emersi i vari virologi, immunologi ed esperti vari a spiegarci tutte queste cose. Singoli divulgatori/medici che comunicano tramite canali privati o ripresi dai media. Non sono enti istituzionali. ho dovuto ascoltare questi professionisti o leggermi le spiegazioni riportate dai media per farmi un’idea dei vaccini. E il Ministero della Salute dove era in tutto questo? Che ruolo ha giocato nella comunicazione dei vaccini e della pandemia in generale?
Una questione di fiducia
Perché la fiducia delle persone non si conquista dall’oggi al domani, e basta un comunicato sbagliato per perderla. Celebre il caso di AIFA che a metà marzo 2021 rassicurava fortemente sulla sicurezza di Astrazeneca, per poi decidere di sospenderlo il giorno dopo. La conseguenza di quel messaggio sbagliato la stiamo pagando ancora oggi, perché nonostante gli open day di questo vaccino, tra le persone c’è ancora molto scetticismo e non sono in pochi quelli che, in sede di vaccinazione, chiedono di poter avere il vaccino a mRna, quello di Pfizer e Moderna.
La comunicazione non si basa solo sul messaggio da veicolare, quello è l’ultimo passaggio. Prima di comunicare, il comunicatore deve saper accogliere, ascoltare, dimostrare empatia, comprensione per la preoccupazione e solo dopo passare il messaggio informativo.
La diffusione della pandemia, la carenza di vaccini e di cure, le restrizioni e le imposizioni, sono tutti problemi che per essere affrontati richiedono la collaborazione delle persone e la loro fiducia: se non si è lavorato prima per ottenerla, non si può pretendere nel momento dell’emergenza.
L’obiettivo generale della comunicazione in una situazione di emergenza è aiutare il pubblico a poter gestire consapevolmente la preoccupazione evitando che si trasformi in panico o in un atteggiamento di completa indifferenza. La preoccupazione deve essere diretta verso una appropriata vigilanza, un apprendimento attento, e una preparazione costruttiva.
In questi mesi stiamo assistendo a un crescendo della cosiddetta pandemic fatigue, vale a dire una stanchezza mentale che ci fa abbassare la guardia e non ci fa più percepire il rischio di contrarre la Covid-19. Le persone, di conseguenza, rispettano sempre con meno voglia limitazioni e imposizioni.
Che cosa ha fatto il Governo per limitare la pandemic fatigue?
L’OMS nei mesi scorsi ha chiesto esplicitamente ai governi di attivarsi in questo senso, attraverso azioni mirate a
- Conoscere e comprendere le persone: capire che cosa si cela dietro questa demotivazione è il primo passo per risolverla
- Rendere le persone parte della soluzione: coinvolgere la popolazione, in modo da far comprendere quanto sia importante il comportamento individuale per il benessere della comunità
- Permettere di vivere le proprie vite: le persone hanno bisogno di tornare alle loro abitudini quotidiane, il messaggio quindi deve trasformarsi da “non fare” a “fare in modo differente”
- Affrontare il disagio delle persone: la stanchezza causata dal periodo può essere affrontata favorendo atteggiamenti resilienti e cercando di alleviare le difficoltà attraverso un sostegno economico, sociale, emotivo e culturale.
I vari ristori economici non sono sufficienti, è ovvio. La gente vuole essere ascoltata, capita, motivata. Questo lavoro costante di relazione e comunicazione è stato del tutto assente.
L’ascolto e l’empatia sono essenziali per poter contenere alti livelli di emotività (paura, rabbia, risentimento) e per aiutare la persona ad attivare le sue risorse per affrontare in modo costruttivo la situazione di emergenza. Ma l’empatia non significa pacche sulla spalla, atteggiamento paternalistico, oppure totale silenzio, vuoto informativo per non creare preoccupazioni.
Per riassumere quindi ecco i punti salienti di una buona comunicazione del rischio:
- Informare in modo trasparente, tempestivo, chiaro secondo le evidenze disponibili al momento
- Dichiarare ciò che si sa e ciò che non si sa, la trasparenza è la scelta migliore.
- Informare sempre e comunque perché il vuoto informativo è colmato da qualcun altro
- Comunicare l’incertezza, riferendo ciò che si è fatto, ciò che si sta facendo, ciò che si intende fare.
- Controbilanciare ogni messaggio negativo con molti messaggi positivi e costruttivi
- Rispondere alle preoccupazioni degli interessati e non alle proprie.
Le informazioni vanno sempre trasformate in messaggi, cioè in una comunicazione che acquisti significato per le persone alle quali il messaggio è rivolto.
Per concludere, la comunicazione del rischio è tanto importante quanto la gestione del rischio stesso, anzi ne è pilastro fondamentale. Se la comunicazione è assente o sbagliata, la gestione ne risente. Ed è proprio quello che è successo nel nostro paese e che continua a succedere.
Ne ho parlato anche sul mio podcast “Post Sanità” ideato insieme aall’Avvocato Giuseppe De Marco, fondatore di LegalSanità.
Ascolta la piuntata:
Ascolta “Post-Sanità – Puntata n. 2 – La comunicazione del rischio” su Spreaker.
Fonti
-
EpiCentro – Cosa significa comunicare su un rischio in situazioni di emergenza – https://www.epicentro.iss.it/focus/flu_aviaria/pdf/DeMei2.pdf
-
WHO – Pandemic fatigue: reinvigorating the public to prevent COVID-19: policy considerations for Member States in the WHO European Region – https://apps.who.int/iris/handle/10665/335820