L’OMS ha già parlato di infodemia, vale a dire una diffusione massiccia e capillare di notizie, alcune delle quali false, inerenti il Coronavirus, capaci di generare eccessivo allarmismo, disinformazione e da ultimo, isteria.

L’epidemia da Coronavirus non va sottovalutata, ma prima di preoccuparsi eccessivamente per la propria salute o quella dei proprio cari, è bene conoscere l’argomento di cui stiamo parlando.

Non voglio aggiungere fiumi di parole all’infodemia di cui parla l’OMS ma solo chiarire, con cinque semplici domande, di che cosa stiamo parlando.

Lo faccio con il prezioso aiuto Alberto Enrico Maraolo, ricercatore medico di malattie infettive dell’ Università degli Studi di Napoli “Federico II”

1) Partiamo dalla domanda più semplice: quali sono le differenze tra l’influenza causata dal Coronavirus e quella “comune”?

Iniziamo dalle analogie. Sia il nuovo coronavirus, chiamato 2019-nCoV, sia il virus influenzale (che include diversi sottotipi) possono causare patologie respiratorie di lieve o grave intensità e potenziali complicanze molto rilevanti. Non parliamo del raffreddore comune che, ricordiamo, può essere causato da alcuni tipi di coronavirus che circolano da tempo nella popolazione ma sono diversi da quello venuto recentemente alla ribalta.

Veniamo alle differenze.

Incubazione. L’influenza “tradizionale” ha in genere un periodo di incubazione brevissimo, di circa 2 giorni, mentre per 2019-nCoV i valori medi sono più alti, ossia 5-6 giorni.

Contagio. L’influenza può essere trasmessa da un soggetto asintomatico nelle 24 ore precedenti la comparsa dei sintomi, ma il ruolo dei soggetti asintomatici nel caso di 2019-nCoV è ancora tutto da chiarire, anche se, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), essi sicuramente non sono il maggiore mezzo di diffusione del contagio.

Bambini. L’influenza “tradizionale” interessa molto spesso l’età pediatrica, causando, a seconda delle stime, anche fino a 100.000 decessi circa nei bambini al di sotto dei 5 anni ogni anno nel mondo, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Invece, 2019-nCoV sembra risparmiare l’età pediatrica o comunque causare nei soggetti più piccoli quadri clinici molto lievi.

2) E' vero che è letale soprattutto su soggetti già debilitati e anziani?

Fin da quando l’epidemia scoppiata a Wuhan ha raggiunto notorietà mondiale, si è capito che l’infezione era capace di determinare forme cliniche gravi e anche mortali. La morte in genere avviene per grave insufficienza respiratoria a causa di un’importante compromissione della funzione polmonare.

 Sono stati comunque descritti quadri di disfunzione anche di altri organi,  insufficienza renale e danno cardiaco acuto. Nei casi più gravi il decesso può avvenire anche per sovra-infezioni batteriche.

 I meccanismi che sono alla base della patologia ancora non sono del tutto chiariti, perché non si ha a disposizione una massa critica di dati tale da permettere di capire con ragionevole certezza fattori di rischio e categorie più vulnerabili. Tuttavia, dai primi report sembra che i pazienti più sfortunati siano quelli di età avanzata e che soffrono di diverse patologie contemporaneamente, la cosiddetta comorbidità (ad esempio, soffrire di diabete e patologie cardiovascolari). Ciò non sorprende perché avviene lo stesso per l’influenza.

Ovviamente questa è la visione d’insieme, relativa ai grandi numeri: il singolo caso fa sempre storia a sé e, sempre similmente all’influenza, un andamento aggressivo non può essere escluso a priori in ogni soggetto giovane e senza problemi di salute rilevanti, sebbene ciò sia generalmente poco probabile.

3) Se la mortalità, al momento, è allo stesso livello o poco più alta di una "banale" influenza, perché è esplosa l'emergenza sanitaria a livello globale?

In realtà l’influenza “classica” è una malattia tutt’altro che “banale” come purtroppo è scolpita nell’immaginario collettivo. Le stime dell’OMS parlano di un numero di morti da 290.000 a 650.000 ogni anno nel mondo. I numeri ufficiali, come le poche centinaia di casi in Italia, rappresentano largamente una sottostima, legata al fatto che l’influenza spesso non è la causa ultima del decesso, ma ne è il  fattore scatenante. È dimostrato come l’influenza possa innescare, in particolar modo in soggetti con pre-esistenti comorbidità, eventi cardiovascolari come l’infarto. Inoltre, sempre nei soggetti più fragili, è tutt’altro che rara l’ospedalizzazione a cui segue la comparsa, per esempio, di una complicanza come la polmonite nosocomiale (vale a dire che insorge in seguito al ricovero in ospedale) che può essere anche fatale.

Comunque, è innegabile che siamo ormai “assuefatti” all’influenza e al tasso di mortalità, anche se il lavoro da fare è ancora molto, considerando le basse coperture vaccinali e il controverso effetto sulla mortalità da parte degli antivirali a disposizione.

Ciò che ha innescato la reazione vigorosa da parte delle autorità sanitarie mondiali nei confronti di 2019-nCoV è innanzitutto il carattere stesso di novità: ci troviamo dinanzi a un nuovo patogeno, che, per quanto in proporzione bassa rispetto a tanti altri tipi di virus, sta causando dei decessi in persone che viceversa non sarebbero morte. Inoltre, non c’è né vaccino, né terapia.

 Non vi è nemmeno parziale immunità nella popolazione, come accade per l’influenza, i cui virus rappresentano delle varianti di quelle circolate negli anni precedenti.

Infine, consideriamo un dato: la letalità nei casi di Coronavirus notificati è del 2%. È probabile, come affermano tutti gli esperti, che in realtà il denominatore su cui calcolarla sia molto più ampio, perché i casi accertati sono quelli dei pazienti che si ospedalizzano. Ci saranno sicuramente molte persone in Cina con sintomi lievi che non si recano presso le strutture sanitarie. Immaginiamo dunque di diluire i 565 morti notificati al 7 febbraio (fonte https://www.epicentro.iss.it/) nell’ambito di un denominatore ben superiore a quello ufficiale, ad esempio 100.000 persone, numero che rientra peraltro in alcune stime effettuate secondo raffinati modelli matematici. In questo caso la letalità sarebbe dello 0,5%, decisamente bassaMa cosa succederebbe se al mondo fossero colpite 200 milioni di persone? Significherebbe, stando a queste stime, avere un milione di morti, pressoché il doppio di quello dell’influenza di stagione, che colpisce ogni anno circa un miliardo di persone secondo l’OMS.

Ecco perché fermare questo virus in tempo è così importante.

Benché non sia mortale alla stregua di altri patogeni in termini relativi, colpendo un vasto numero di persone può determinare in termini assoluti un numero ragguardevole di decessi su scala globale che altrimenti non sarebbero occorsi.

4) Quali sono le differenze con la SARS? 

Sono entrambi due coronavirus del genere beta. Sembrano condividere lo stesso target quale recettore per entrare nelle cellule bersaglio, ovvero l’enzima ACE2, ampiamente rappresentato nell’apparato respiratorio, specialmente nelle basse vie (trachea, bronchi e polmoni).

Possiamo affermare che le modalità di contagio e il periodo d’incubazione di Coronavirus e SARS siano sovrapponibili.

Tuttavia, balzano all’occhio importanti differenze: il nuovo Coronavirus in poco più di un mese ha doppiato il numero di persone ufficialmente contagiate in circa due anni dal virus responsabile della SARS, risultando molto più diffusivo. D’altro canto, anche la letalità è diversa, ma in questo caso a sfavore della SARS.

Il bilancio ufficiale della SARS fu di 8.098 infetti e 774 morti, ossia il 9,6% dei contagiati. Tra questi, purtroppo anche Carlo Urbani, unica vittima italiana, infettivologo di straordinarie capacità che contrasse il virus responsabile della SARS in Vietnam, ad Hanoi, ove lavorava per l’OMS. Grazie al suo grido d’allarme e al suo sacrificio i riflettori si accesero sull’epidemia di SARS, la cui letalità fu dunque di un valore circa cinque volte superiore a quello desunto dalle cifre ufficiali per 2019-nCoV.

5) Adesso che il virus è stato isolato, cosa si potrà fare in concreto? 

Bisogna fare una precisazione. Il virus è stato isolato in prima battuta da scienziati cinesi già il 10 gennaio, nello specifico da ricercatori dell’Università Fudan di Shangai, che hanno sequenziato in tempi rapidi l’intero genoma di circa 30.000 nucleotidi. In seguito, altri gruppi di ricerca in differenti paesi, in cui si sono diagnosticati casi di infezione da 2019-nCoV, hanno ottenuto lo stesso risultato. In Europa, proprio poco prima dello Spallanzani, l’isolamento è avvenuto all’Istituto Pasteur a Parigi. Ciò ovviamente non va a detrimento dell’eccellente lavoro svolto dal laboratorio di virologia dello Spallanzani: è chiaro che il virus si può isolare solo se si hanno materiali biologici, e secondo logica ciò è avvenuto in Cina che è il cuore dell’epidemia. Ad ogni modo, ottenere molteplici sequenziamenti del virus, da diversi pazienti in differenti posti del mondo, permette di ricostruire con precisione la sua storia evolutiva e la sua capacità di mutazione. Consente altresì di capire meglio quali sono i fattori che produce e che condizionano la virulenza. Queste sono le premesse fondamentali per una terapia e per un vaccino.

Circa, però, le tempistiche, si entra in un campo minato: dimostrare l’efficacia in laboratorio di un antivirale, dopo isolamento e coltivazione di un virus, non significa automaticamente che tale risultato sarà confermato nell’uomo, per tacere del profilo di sicurezza da vagliare con attenzione.

 Anche per i vaccini il discorso è complesso: pur comprimendo il più possibile, fino a 6-12 mesi, la fase di preparazione del composto immunizzante, occorre testarne in vivo efficacia e sicurezza su campioni numerosi. Non bisogna dunque dar credito a notizie miracolistiche sul timing di cure e vaccini, ma concentrarsi sull’infection control per bloccare la catena dei contagi.

Consiglio: Per avere dati sicuri, corretti e aggiornati in tempo reale visitate la pagina di Epicentro Dell'Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/

 

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