Chi abusa di sostanze stupefacenti è un soggetto più a rischio per il Covid-19: perché la sua salute, già cagionevole, lo espone maggiormente al virus e perché l’isolamento causato da questa pandemia lo porterà inevitabilmente ad abusare ancora di più delle sostanze stupefacenti. Un circolo vizioso pericoloso che si porta dietro altri problemi vissuti da chi fa abuso di sostanze, perché il mondo di chi cade nella trappola della droga è costellato di tante, troppe complicazioni: stigma, discriminazioni, emarginazione.
Nella Giornata Internazionale Contro l’abuso e il traffico illecito di droghe il mondo delle associazioni che aiutano chi ha problemi di dipendenza continua a domandare interventi per arginare questi ostacoli e aiutare in modo concreto, non solo da un punto di vista clinico, chi si è perso nel tunnel della droga e non riesce più a uscirne.
Come evidenzia una relazione dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, le persone che consumano droghe, confronto alla popolazione generale, a causa di fattori relazionati allo stile di vita e a problemi di salute preesistenti, sono maggiormente a rischio di infezione per Covid-19. Ma il problema, purtroppo, non è solo questo.
Secondo quanto ha dichiarato il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla Salute questa pandemia ha messo ancora più in evidenza i problemi sociali che affrontano le persone che consumano droghe: criminalizzazione, stigma, discriminazione ed emarginazione. Oltre all’impossibilità, in molti casi, di accedere a un servizio o di ricevere l’assistenza sanitaria adeguata.
La prevenzione della dipendenza, i servizi di trattamento, di riduzione del danno e reinserimento oggi più che mai sono indispensabili.
Purtroppo, in molti paesi, le istituzioni preposte non sono state in grado di fornire il supporto richiesto a questi servizi e anche nei sistemi sanitari considerati sino ad oggi i più solidi non sono stati forniti agli operatori delle dipendenze né i dispositivi di protezione individuale né le risorse finanziarie per acquistarli.
Malgrado tutto ciò, le associazioni che seguono queste persone, come le Comunità Terapeutiche di Dianova, hanno utilizzato tutte le precauzioni necessarie per tutelare i propri utenti e il proprio personale. Non si sono mai fermate, proprio come gli ospedali.
Dianova Onlus da oltre trent’anni in Italia si occupa del problema della dipendenza da sostanze, droga e alcol, con l’obiettivo di aiutare tanti ragazzi con alle spalle storie di sofferenza e disagio a ritrovare il loro spazio nella nostra società. Una delle campagne che questa associazione sta portando avanti riguarda la possibilità di far riconoscere i servizi per le dipendenze a pari livello dei servizi sanitari essenziali e per ricevere la stessa assistenza e lo stesso supporto, in quanto i disturbi correlati all’uso di sostanze sono una questione di salute pubblica. Se si presenterà un’altra crisi di questa portata, i servizi per le dipendenze non dovranno essere considerati il parente povero del sistema sanitario pubblico.
Ecco cosa ci racconta uno degli operatori che lavora in Dianova:
“Siamo stati in grado di disciplinare l’emergenza sanitaria e di reperire ciò di cui avevamo bisogno da soli, continuando a tutelare una costola dolorante della società che pochi curano.
Abbiamo parlato con tutti gli utenti e abbiamo spiegato loro la situazione complessa che si era venuta a creare. Non è stato fargli capire ciò che stava accadendo, stimolarli ad essere pazienti e a sapersi gestire emotivamente. Anche noi abbiamo avuto le nostre paure: noi con le nostre famiglie a casa, noi con i nostri figli soli davanti ad un PC e con le preoccupazioni legate anche alla nostra salute e a quella dei nostri familiari.
Il nostro lavoro è cambiato, la relazione umana è anche relazione fisica, lavorare in una comunità significa accompagnare le persone verso l’acquisizione di una maggiore consapevolezza delle proprie fragilità e sostenerle nel “difficile” percorso che può far si che si trasformino in punti di forza, è un luogo in cui ti rendi conto che ogni singola parola o gesto ha un valore e non puoi permetterti di sottovalutarli; vuol dire toccare con mano, 24 ore su 24, ogni aspetto della vita dei “ragazzi” che vivono qui. La Comunità vera e propria la si “respira” nelle piccole cose quotidiane è lì che spesso riesci a comprendere bene cosa gli utenti stanno vivendo, chi sono, cosa portano dentro di sé; è qui che impari ad ascoltare e osservare, stare con le loro emozioni, spesso “assorbendo” il malessere che esprimono, senza dare soluzioni immediate o giudizi affrettati ma mettendosi nei loro panni per aiutarli a stare con se stessi e con i propri bisogni. Non è affatto facile, a volte si torna a casa arrabbiati, delusi, stanchi e saturi. La comunità spesso assorbe ed esaurisce ogni tua energia, pensiero, emozione”.
Il Covid-19 ha alimentato paure e voglia di isolamento di cui si nutrono le dipendenze con e senza addiction e storicamente e sociologicamente, insieme al rischio di povertà e all’incertezza per il futuro, questi eventi incrementano questi fenomeni.
Credere che le dipendenze patologiche siano un mero problema sociale e non un tema centrale di salute pubblica è un grande errore di valutazione: sono un problema sanitario concreto e per questo garantire i servizi di cura dovrebbe essere la mission di ogni società civile.